Dalla parte di Riace. Al di sopra di ogni verdetto, la solidarietà non è reato

Siamo in attesa di conoscere la sentenza di appello del processo Xenia contro Mimmo Lucano e altre 17 persone. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria si riuniscono per decidere l’11 ottobre. Perciò, per l’ultimo numero dell’anno di bizzòlo siamo tornati a Riace, e sulla Piana di Gioia Tauro: i ghetti travestiti da tendopoli sono diventati la regola, mentre la buona accoglienza è diventata un crimine. 

Indagini, intercettazioni, avvisi di garanzia, un arresto, un esilio, una condanna esorbitante in primo grado, un lungo processo penale. Non c’è nemmeno un euro nelle tasche di Mimmo Lucano che pure è stato accusato di peculato, truffa e di essere a capo di un’associazione a delinquere per “interesse politico”, in un Paese in cui vige la legge del voto di scambio. E rischia dieci anni di carcere. 

La colpa di Riace è aver trovato soluzioni per non piegarsi a un sistema che mette la paura davanti alla realtà, la burocrazia davanti alle persone, la regola scritta davanti alla logica e umana evidenza. Il business davanti alla solidarietà. Da virtuosa a criminale, in pochi anni è stata trasformata nel campo di battaglia tra Solidarietà e Propaganda anti-immigrazione.

Assediata con ogni mezzo. Ma non è stata abbattuta, Riace. Vent’anni di convivenza diffusa e pace sociale hanno avuto la meglio, anche se questo è il tempo della paura, dell’odio e del veleno. Questo piccolo paese di Calabria fa ancora da contraltare ai grandi centri di non-accoglienza e detenzione, molto più graditi alla Fortezza Europa, ai governi – specie quelli della destra peggiore – e alla criminalità organizzata. Non stiamo parlando di una favola, ma della prova vivente di una possibilità che andava cancellata.

Se l’obiettivo era dimostrare che il modello Riace non funziona, non ci sono riusciti. A regime ridotto, con decine di rifugiati invece che centinaia, con fondi collettivi invece che pubblici, il modello Riace è ancora in piedi. È un moto spontaneo, liberatorio, allergico alla burocrazia e al professionismo dell’accoglienza. Per questo è possibile scalfirlo ma non lo è porgli fine.

Qualunque sarà il verdetto, Riace è un monito: legale non basta, bisogna che sia anche giusto.

bizzòlo numero 4 | autunno 2023

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